Ciao Patrizia Tagliavini 14-04-2024


Il Nostro 1° Compleanno 29- dicembre 2007

Valerio, Patrizia, Teresa e Roberto sono lieti  di invitarvi alla festa del 1° compleanno del giornalino di San Rocco, per condividere  impressioni ed emozioni che la sua lettura ha suscitato in voi,e soprattutto per ringraziare sentitamente chi ci ha aiutato in un’impresa che, piccola che sia, credevamo impossibile e che ci riempie di soddisfazione.

Chi fosse interessato a rileggere gli scritti della Patrizia si trovano nell’ archivio  – IL Giornale di San Rocco

https://www.quartieresanrocco.it/

Vi aspettiamo sabato 29 p.v. alle ore 17 nella sala di palazzo Imbriani e fin d’ora vi diamo il benvenuto!

Patrizia Tagliavini 07-01-2027

Non vanta origini e tradizioni famose come quello di Viareggio o del vicino Busseto e del mitico Rio ma ha sempre avuto ingredienti genuini e puliti come l’aria dei nostri monti. Fra gli ingredienti è l’arguzia, l’allegria e perché no, la generosità con cui si spende il tempo a favore del divertimento altrui.Parlo degli organizzatori che in ogni tempo (ieri, oggi e senz’altro domani) hanno sacrificato e sacrificano tutt’ ora il loro tempo libero per allestire carri e creare macchiette e maschere per la sfilata del nostro Carnevale, un Carnevale che non ha un vero corso, che non ha un vero cantiere, che di vero ha solo tanto buonumore.I miei ricordi ovviamente tutti del dopoguerra, sono un po’ confusi, non hanno un ordine cronologico, non sono completi, sono fatti di sensazioni, sono scene di un vecchio film dimenticato, che sono rimaste impigliate in un angolo della mia memoria.

1954 : Sandrone e la Polonia

Sono due personaggi da teatro dei burattini. Ebbene quell’anno, per Carnevale, su di un “gippone”(non occorre tradurre vero ?) sfilarono due enormi personaggi di cartapesta (per muoverli, avevano dentro più di una persona). La Polonia, una donnona grande e grossa, picchiava senza sosta sulla testa il povero Sandrone, colpevole di chissà quali malefatte, con un enorme manico da scopa.

Gli autori del carro erano pochi uomini, aiutati da qualche ragazzotto che con fatica rinunciava alla seduta al bar per aiutare dopo cena e sino a tarda ora mio padre, il maestro Delchiappo , i fratelli Leoni. Per far uscire il carro il giorno di Carnevale, dovettero trascorrere molte notti nel freddo capannone di mio padre, senza mezzi adatti , poco aiuto e molte spese, come al solito.

E finalmente i carro sfilò per il paese, maestoso , colorato (ci vollero non so quanti metri di stoffa per vestire la Polonia! ): la Polonia picchiava sodo e Sandrone si prendeva fra le mani la testa dolorante ! Il buffo fu che ognuno trovo in quelle figure enormi significati reconditi a cui magari i creatori non avevano lontanamente pensato: ci fu persino chi vi trovò rappresentate figure politiche di allora! Il divertimento fu grande ed il successo strepitoso. Si divertirono proprio tutti. Così tutto il freddo patito e il sonno perso, l’avvilimento per la mancanza di aiuto (molte volte i ragazzotti che avrebbero dovuto aiutare quei due o tre uomini, preferivano andare a divertirsi), la fatica dopo un giorno di lavoro , furono ricompensati: tutto questo, allora come ora, è la generosità del Carnevale: regalare un’ora di gioia agli altri e non mi sembra regalo da poco.

Una notizia curiosa e un po’ amare di quel Carnevale: mi pare che , dulcis in fundo, gli organizzatori, come coronamento alle loro fatiche, dovettero pagare una bella multa perché ingenuamente non avevano pagato i diritti d’autore per il complesso musicale che accompagnava la sfilata (nel nostro caso il complesso era rappresentato dal signor Murena, meglio conosciuto come Fisc’ttu). L’anno dopo sotto una bufera di neve, il vecchio Sandrone, incurante di reumatismi e raffreddore, sfilò dipinto di blu ed agitando le braccia al vento, festeggiando a suo modo la vittoria a San Remo di mister Volare con la canzone “Nel blu dipinto di blu”.

In altri carnevali dell’epoca (anni 50/60), come del resto anche adesso sfilavano carri di bambini.

Ad esempio nel 1957 le suore dell’asilo di Borgotaro avevano allestito una bella recita di Biancaneve e sfruttando i costumi e soprattutto i protagonisti, vennero fatti due carri mascherati. In uno vi era un grosso fungo di cartapesta da cui si affacciavano sorridenti i nanetti con giacche rosse e barba bianca, nell’altro, su di un trono di damasco rosso, sorridenti e felici, finalmente uniti, sedevano il principe azzurro e la dolce Biancaneve.

A proposito del trono rivestito di damasco rosso e la scala di legno intarsiato su cui posava, mi viene in mente un altro carro sempre di ragazzi. Le allieve di un collegio locale avevano in quegli anni organizzato una recita in costume settecentesco e , come già per Biancaneve, si pensò di creare un carro: così nacque “Casanova e le sue dame “. Argomento un po’ insolito per un collegio femminile, ma fu un vero successo. Un ragazzetto di circa dieci anni stava assiso sul rosso trono, vestito di trine e velluto con una spada in mano piena di cuori rossi di panno Lenci , attorniato da splendide teen agers in costumi settecenteschi con bianche parrucche, tutte educande dell’Istituto Magistrale.

Solo il giorno dopo si pensò alla stranezza del carro : Casanova in un collegio di suore ! Ma in fin dei conti in nostro Casanova aveva solo nove o dieci anni e poi : a Carnevale ogni scherzo vale !!!!

Patrizia Tagliavini 07-01-2027

PRIMO MAGGIO di Patrizia Tagliavini

     Il cielo di un pallido azzurro,

il sole velato di nebbia:

sfilano rosse bandiere, guarda la gente,

i ricordi si affollano alla mente.

     era un maggio di tanti anni fa,

erano i giorni di Liberazione,

abbiamo alzato archi di lillà,

a Borgotaro in via della stazione:

da allora si chiamò via libertà.

     ‘La pace va pensata come un fiore,

va coltivata prima dentro il cuore,

e poi va seminata in ogni dove!’

     Diceva Edmonda, che sorridente e fiera,

alta portava la rossa bandiera!

     fame di pane, di fraternità,

la guerra era finita:

tutti giocavamo una partita

per sopravvivere alla libertà.

     Ora non c’è più fame di pane,

mangiamo il nostro cibo quotidiano,

ne abbiamo in abbondanza.

     A chi ne chiede noi diamo ciò che avanza!

     Ma quando Edmonda, sorridente e fiera,

alta portava la rossa bandiera,

altro era il sole, di un’altra primavera.

Era il 30 giugno 1944 , Battaglia del Manubiola , data di uno dei più sanguinari episodi della resistenza delle nostre zone. I versi sono scritti da chi è stato involontario testimone dell’episodio.

Il comune di Borgotaro ricorderà i civili caduti in località Frascara presso il cippo che sorge in località Boceto di Pontolo sabato 30 giugno alle ore 09.45.

Era l’estate del “quarantaquattro,

il 30 giugno, il mio compleanno.

    Compivo sette anni, ero sfollata

vicino ai verdi boschi di Frascara.

    Il bosco era lucente nel mattino,

brillava l’asplenio alla fontana,

rosse le fragole, strette nel cestino,

verde la menta, il timo e la bardana.

    A un tratto uno sparo ruppe l’aria,

sparirono le rondini dal cielo,

innanzi a me un giovane ferito,

perdeva sangue e mi chiedeva aiuto.

    Ed ecco, per maligno sortilegio,

tanti soldati ed un gran rumore:

erano armati di mitra e di livore,

colpirono un vecchio col calcio d’un fucile.

    E fummo catturati e deportati,

bambini, vecchi senza colpa alcuna,

tante ore lunghissime d’inferno

alla battaglia della Manubiola:

    odor di sangue e polvere,

i morti coprivano la strada,

mia madre, ferita, sanguinava.

I partigiani vinsero, alla fine!

    Non fui colpita quel giorno al Manubiola,

ma un incubo sconvolse la mia mente,

un atroce dolore ferì profondamente

l’animo mio e mi segnò per sempre.

Maria Patrizia Tagliavini

Dedicata alla classe 1937 che quest’anno ha raggiunto la ragguardevole età di 70 anni …. e non sembra vero!

Era proprio il ’37, quando al mondo noi arrrivammo,

senza lodi e senza inganno.

“Vi han trovato fra le rose”,

così dissero all’inizio.

Senza troppo pregiudizio,

noi credemmo a queste cose!

Poi però venne la guerra,

e la favola finì.

Furon gran brutti momenti

pieni di bombardamenti,

con la fame e la paura

dei peggior rastrellamenti.

E così nel calendario,

con i santi e la Madonna,

noi scrivemmo : Manubiola,

e poi Strela e Santa Donna.

Ma le cose belle o brutte,

prima o poi finiscon tutte.

Così , pure la guerra,

fu sepolta sotto terra.

E la via della stazione,

sotto gli archi di lillà,

dopo la liberazione

si chiamò via libertà.

Diventammo giovincelli

e scoprimmo da Tonelli

films, veglioni e le festine

da godere senza fine!

C’era poi un altro locale,

proprio adatto per ballare

rock e swing sotto le stelle,

con le miss, quelle più belle,

fra sospiri e batticuori

e sorrisi incantatori.

Ecco il nome, se vi serve,

era il gran Rifugio Verde.

Fra piaceri e dispiaceri

alti e bassi della vita

stiam giocando da quel giorno,

una ben strana partita.

Senza più il re e la regina,

fra cavalli, alfieri e fanti,

noi speriamo e questo è un patto,

di non prender troppo presto

quel tremendo scacco matto!

Patrizia

Sta arrivando l’estate e con essa arriveranno anche i nostri emigranti per godere della salutare aria del loro paese natio. La poesia di Patrizia vuole essere un saluto di benvenuto a tutti loro e un augurio di potersi rincontrare per rinnovare amicizie che possono sembrare dimenticate ma che invece sono rimaste nel cuore di tutti.

L’Amico Emigrante

Era l’autunno del cinquantasei,

una valigia, la chitarra e poi

Una tasca di sogni e la paura

D’imbarcarti in simile avventura!

Mi scrivesti: sto a Johannesburg,

tanta gente,palazzi, vetrine sfavillanti:

è città costruita sul vuoto di miniere,

pieno di preziosissimi diamanti!

Son sempre solo, ho tanta nostalgia,

non capisco la lingua, voglio venir via!

Ti ho risposto: “ Non cedere, rimani:

stai preparando la strada al tuo domani!

Ho messo con la lettera un sacchetto,

c’è un pò di terra, l’ho presa da muretto,

vicino a casa tua: ti farò compagnia,

è buon rimedio per la nostalgia”

Poi la tua lettera: “ E’ Natale.

I neri ballano come a Carnevale!

Qui fa un gran caldo e c’è troppo sole,

son sempre solo con le tue parole.

Se penso a casa mia mi vien un groppo alla gola:

penso a mia madre sola, che invece di pranzare

sarò sul letto a singhiozzare!”

Sono trascorsi altri Natali, assai velocemente.

Il mio amico emigrante non m’ha più scritto niente.

So che è rimasto ed ha fatto carriera,

e si è dimenticato di una amicizia vera.

Maria Patrizia Tagliavini

Dedicato a lino Leoni, presidente della Hei Engineering Group

Mentre svaniscono nell’aria, profumata di tigli e di platani, le ultime note del Luna Park, e la sagra patronale del paese volge al termine, il nostro rione si prepara a festeggiare il suo patrono : San Rocco.

I figli lontani tornano dalle grandi metropoli,  guardano con nostalgia i luoghi della loro infanzia.

Il quartiere è cambiato, tanti angoli caratteristici non ci sono più, neppure la fontanella del muraglione non c’è più, le vecchie fabbriche sono state sostituite da impianti industriali e artigianali.

Ma niente di tutto ciò avrà tanta importanza, se nel cuore di chi è rimasto ci sarà ancora quello spirito di amicizia, di accoglienza, di arguta complicità che da sempre ha caratterizzato gli abitanti di San Rocco.

Accenniamo brevemente ad alcune delle manifestazioni che si svolgeranno in agosto a San Rocco e in seguito pubblicheremo dettagliatamente il programma completo.

Tutti i giorni festivi di agosto e il 16, festa di San Rocco, nei locali dell’antico convento Agostiniano di San Rocco a Borgotaro dalle ore 10.00 alle ore 12.00 e dalle ore 16.00 alle ore 19.00m saranno aperti i mercatini di artigianato valligiano e delle “pulci”, con esposizioni di splendidi ricami eseguiti a mano secondo le antiche tradizioni della valle e di oggetti e curiosità di un tempo ormai lontano da noi.

Durante gli orari di apertura si potranno incontrare le artiste che hanno eseguito i ricamim conversare con loro e scoprire magari qualche interessante segreto della loro arte che ormai sta scomparendo o quasi………..Naturalmente l’ingresso è libero ed ogni visita è un gradevole incentivo per chi ha lavorato. Tutto il ricavato sarà destinato ai restauri del Convento che, iniziati in primavera m sono tutt’ora in opera. Si potranno visitare i nuovi locali e soprattutto saranno possibili le visite alle 14 tele del Traversi, pittore napoletano del 1700 che lo scorso anno sono state in mostra a Napoli e a Parma.

Il giorno 15 agosto, in mattinata, festa degli emigranti e dei villeggiantim con celebrazione eucaristica per tutte le associazioni di volontariato della valle che la comunità di San Rocco intende ringraziare per tutto il bene che fanno a tutti. Verrà loro offerto,dopo la santa Messa un rinfresco servito nel suggestivo cortile dei frati Agostiniani.

In serata festa delle “DOLCEZZE DAL MONDO” degustazione di torte tradizionali dolci e salate e torte dolci presentate da ospiti provenienti da tante parti del mondo.

Il Rifugio Antiaereo

A proposito del tempo di guerra nel nostro rione………..

Negli anni ’43 – ’44, quando incominciarono i primi bombardamenti che miravano a distruggere il ponte della ferrovia, nell’edificio di Viale Libertà che ora porta il numero 47, venne costruito, acura dell’allora proprietario Tagliavini Aldo, un rifugio antiaereo.

Venne scavato un ampio vano sotto le cantine, a cui si accedeva da una comoda scala scavata nel terreno. Pilastri di cemento sostenevano il soffitto che era isolato sal restante edificio da un centinaio di sacchi di cemento, che avrebbero dovuto attutire gli eventuali crolli di parti dell’edificio sovrastante.

Un cunicolo che sbucava nel giardino antistante la casam avrebbe evitato di fare la fine dei sorci in trappola. L’uscita del cunicolo è ancora visibile oggi.

Quando in piena notte le sirene della fabbrica del tannino (FNET), laceravano il silenzio per avvisare la gente dell’imminente incursione aerea, quel grigio stanzone si riempiva di gente in cerca di …rifugio.

C’erano a quel tempo molte famiglie sfollate dalle vicine città, La Spezia, Parma , e chi abitava vicino a casa Tagliavini , correva al riparo……… Ricordo una famiglia di Parma con un bambino più o meno della mia età di cui non ho più saputo niente : Gian Carlo; la sua mamma si chiamava Sofia, una sua zia Gian Carla, il suo nonno Camillo e la nonna Ismede. E’ il ricordo  di quest’ultima che è ancora vivo nella mia memoria. Aveva vestaglie e camicie da notte molto vivaci e con pizzi e merlettie , ogni volta che arrivava in piena notte per via delle sirene, minacciava svenimenti da un attimo all’altro……….mi piacerebbe tanto sapere qualcosa di loro………

Accanto a una delle colonne che reggevano quel vano sotterraneo, c’era una Madonna, scolpita da mio padre che ora sta su un pilastro in casa mia: l’ho fatta mettere dopo la disastrosa allluvione del novembre 1982, ancora una volta la Madonna aveva salvato il ….mio nido.

Patrizia

Il palio delle torte è uno dei momenti più…….delizioni delle manifestazioni di agosto nel quartiere, a questo evento Patrizia ha dedicato alcuni versi.

Senza cavalli e senza cavaliere,

a San Rocco si gioca un palio strano,

non per vincere qualche premio arcano

ma per far goder tutto il quartiere.

All’ombra della chiesa di quel Santo

che ci protesse tutti dalla peste,

in agosto si svolge da tanti anni,

la più dolce di tutte le feste.

Le signore di buone volontà,

facendo sfoggio di grande abilità,

sfidando la calura dell’estate,

sfornano torte dolci e anche salate,

che poi si mangian tutte in compagnia,

con un bicchier di vino, in allegria!

E, cosa assai stupefacente,

si assaggian tutte e non si spende niente!

C’è la crostata con frutta non trattata,

la torta di panna e cioccolata,

quella di mandorle e quella al caffè,

pasticcini di cocco e anche bignè!

E che dire delle torte salate?

Friabili, gustose e prelibate!

Le torte d’erbe, di riso e di patate,

sembrano fatte da mani delle fate.

Quando poi è il momento dell’assaggio,

non sto a dire la gioia della gente,

che mangia e beve e non spende niente,

mentre quelle cuoche sì provette

si scambiano i segreti e le ricette

di una cucina così saporita,

propria di una tradizione avita.

Altro che corsi di alta cucina

con luminari che arrivan di pianura:

fidatevi di cuoche di montagna:

cucinano anche i funghi e la castagna!

Come facevan le nonne e le bisnonne,

senza pretese e con tanto amore

nella ricetta mettevano anche il cuore!

Maria Patrizia Tagliavini

Le  suore gianelline e l’istituto Gianelli hanno sicuramente rappresentato all’interno del quartiere un momento particolare di storia che ha coinvolto tutti i suoi abitanti e  pian piano andiamo a raccontare…….

Nel 1942 le suore Gianelline arrivarono a Borgotaro, provenienti da Chiavari, a causa della guerra, per paura dei bombardamenti, accompagnate dalla signorina Delnevo Paolina, borgotarese, che da anni viveva presso di loro.

Erano alloggiate nel palazzo Ostacchini, in viale della Libertà, palazzo che si può ancora oggi ammirare, pressochè inalterato e di recente restaurato, di cui narreremo la storia in un altro capitolo.

Mentre furono accolte favorevolmente dalla gente di San Rocco, non fu così per alcune autorità religiose del luogo (incredibile, ma vero !) che fecero di tutto per ostacolarne la permanenza. Non è questo il “sito”  per insistere su questo punto che però è storia, verificabile attraverso documenti esistenti.

In un primo momento, non potendo aprire un asilo per i fatti sopra detti, le suore incominciarono a gestire un fiorente dopo-scuola, utilissimo per un quartiere popoloso come il nostro, e non solo aiutavano i bambini a fare i compiti, ma insegnavano a ricamare, a suonare il pianoforte e a dipingere.

Quando i rumori e i pericoli della guerra si avvicinarono troppo al nostro paese, le suore presero ancora una volta la via dell’esilio e si trasferirono nelle campagne di Pontolo ospiti dei signori Lusardi e vi rimasero sino al 1945.

Naturalmente anche in quella sede continuarono il loro apostolato e lal loro attività aiutando in ogni modo la gente del luogo.

Finita la guerra, tornarono in San Rocco, dove le aspettava un’amara sorpresa : il palazzo Ostacchini era stato reso inagibile dai bombardamenti e dalle conseguenze di una furiosa battaglia fra partigiani e tedeschi, che verrà raccontata in un altro capitolo della storia.

Ancora una volta il Signore, che dove vede provvede, fece in modo che le suore rimanessero: alcune famiglie di San Rocco si attivarono perchè potessero riprendere la loro opera di assistenza e di istruzione per i bambini e i ragazzi che portavano, alcuni nel fisico, e tutti nel cuore e nella mente, le dolorose ferite della guerra appena terminata.

STORIA DELLE SUORE GIANELLINE II PARTE

Quando il Signore ha deciso, i potenti della terra non ci possono fare niente, se non piegarsi, loro malgrado alla Sua volontà. E così tutte le manovre messe in atto per eliminare l’opera educativa e sociale delle suore Gianelline e la loro presenza fra noi, fortunatamente fallirono. Patrizia

Molte persone si adoprarono in favoro della permanenza delle suore fra noi. Il signor Polledri, l’ing. Cesare Cantù, direttore tecnico della Milanese & Azzi, stabilimento di Borgotaro (industrie cementi), l’ing Romano Guatteri direttore amministrativo dello stesso stabilimento, riuscirono a far sì che la signora Milanese donasse alle suore un appezzamento di terreno in località san Rocco, dove poi sorse l’attuale istituto.

Uno dei grossi problemi fu che proprio in quel terreno vi era ,in una baracca di legno, un asilo delle suore di Borgotaro e fu davvero difficile per la proprietà, toglierle di lì.

Finalmente, nel 1951 fu posata la prima pietra dell’Istituto che poi sarebbe divenuta sede di scuola materna, elementari, medie ed istituto Magistrale, non solo, ma anche di un collegio femminile che arrivò ad ospitare più di sessanta educande.

Quando il palazzo Ostacchini fu restaurato e reso agibile dopo i danni della guerra, le suore che erano momentaneamente alloggiate in case private, tornarono nel palazzo negli ultimi anni quaranta sino a quando furono pronti i nuovi edifici dell’Istituto.

Mi piace trascrivere di seguito una lettera che mi è stata inviata da suor Rosa Fichera, un’insegnante suora che rimase nell’istituto dal 1950 al 1956.

Durante la seconda guerra mondiale le suore Gianelline (Figlie di Maria S.S dell’Orto), sfollarono a Borgotaro alloggiando in un condominio vicino alla stazione ferroviaria , chiamato Ostacchini. I locali occupati dalle suore erano: piano terra e primo piano.

Piano terra formato da due saloni di cui uno adibito a d aula scolastica e l’altro da sala da ricamo, cucito, maglieria, sala da studio per pianoforte e sala ricreazione.

La comunità delle suore era formata dalla direttrice suor Matilde Masera, da suor Giuseppina Tumaian , palestinese, insegnante di pianoforte, da suor maria del Rosario insegnante di ricamo, da suor Clotilde , sorella di cucina, una suora di cui non ricordo il nome , maestra d’asilo, e la sottoscritta che con la direttrice insegnavamo dalla 1° elementare alla 3° media.

Il primo piano era formato da due appartamenti, in uno alloggiavano le collegiali , insieme per mancanza di spazio, nell’età compresa fra i 9 e 12 anni. Nell’altro appartamento abitavano le suore, c’era una grande cucina, una sala da pranzo, una piccola cappella e i vari servizi.

Tutte le mattine(neve, freddo, pioggia) una parte della comunità delle suore si recava in parrocchia per partecipare alla Santa Messa. Il tragitto era abbastanza lungo. Al rientro, la colazione e subito al lavoro, pulizia della casa e scuola. Il salone adibito a scuola era diviso in tre parti: scuola materna ed elementari (1°, 2° e3°) e (4° 5°) e contemporaneamente qualcuna delle medie. Alla fine dell’anno scolastico esami a Bedonia per la 5° classe elementare /esame di ammissione), per le medie esami normali.

Mentre per la 1° 2° 3° 4° elementare, esami in casa, veniva una commissione statale mandata dalla Direzione Didattica di Borgotaro.

Le giornate trascorrevano tra preghiera, studio e lavoro. Tutti i sabati pomeriggio, andavamo a passeggio con le educande nei paesi vicini e, nei periodi adatti, andavamo per funghi e per castagne.

Durante questi anni l’Ing. Cantù ed altre persone, trovarono la possibilità di costruire un edificio per la scuola e l’educandato.

Quando è stata posata la prima pietra, la sottoscritta ha messo accanto alla pietra una pergamena con i nomi delle Sorelle presenti.

Terminato l’edificio, abbiamo fatto con fatica il trasloco dei mobili e di tutto ciò che vi era in casa.

Abbiamo arredato l’Istituto con mobili donati e acquistati con frutti di molte lotterie!

Quando sono arrivata avevo trovato 10 educande e, nel 1956, quando sono partita, ve n’erano 55 e la scuola abbastanza fiorente, sia la materna, le elementari , medie e qualcuna alle magistrali.

Faccio un commento all’interessante lettera di suor Rosa. Come vi era stata rivalità fra i due ordini di suore presenti in paese a proposito dell’asilo, altrettanta se ne era creata fra la scuola elementare pubblica e la scuola elementare dell’istituto Gianelli. Si ebbe paura che troppi bambini si iscrivessero dalle suore visto il luogo così piacevole e adatto dove era situata e la possibilità di lasciare i bambini anche oltre gli orari stabiliti, con la conseguente possibile perdita di posti di lavoro da parte delle maestre.

Voglio chiarire perché. Suor Rosa nomina, fra gli artefici del nuovo istituto, solo l’ing, Cesare Cantù., oltre l’opera che svolsero le altre persone da me citate, egli generosamente donò un appezzamento di terreno attiguo a quello donato dalla signora Milanese alle suore , come dote della figlia Maria Luisa , suora gianellina, valente insegnante di pianoforte diplomata al conservatorio di Genova . Insegna ancora a Rapallo in una scuola dell’istituto e porta il nome di suor Clotilde.

A proposito di istituto magistrale, può darsi che a qualcuno interessi qualche nome, qualche numero che riguarda gli iscritti negli anni immediatamente dopo la partenza di suor Rosa.

Nell’anno scolastico 1958/59, gli abilitati furono 9

Berni Anita, Berti Elisabetta, Brizzolara Giovanna, Curotto Adriana, Dellanzo Rosella, Polledri Silvana,Reboli Franca, Zazzi Maria Rosa.

Via via, leggendo gli elenchi degli anni successivi si vede come aumentano gli iscritti all’esame di abilitazione, ad esempio nell’anno 1961/62 i diplomati furono 23, nel 1968/69,furono 35 più due privatisti, nel70/71, furono 34. Da ultimo nel 73/74, furono 24.

Se interesseranno notizie su altri anni, li forniremo volentieri, anche con gli elenchi degli iscritti.

Mi sembra invece interessante inserire l’elenco dei professori che, hanno insegnato in quegli anni nell’Istituto Magistrale.

INSEGNANTI CHE HANNO COLLABORATO CON LE SUORE GIANELLINE DAGLI ANNI 1956 AL 1974.

ALTIERI SUOR ITALIA – ARNOLDI M-ROSA- BATTAGLIONI MARIA- DON ANTONIO BECCARELLI- BENECCHI PAOLA- BENOTTI DINO- BERTOGLIO S.F. – BERTORELLI LUCIA – BERTOLUZZI LUISANNA- BONI BONATI STEFANIA – BOSI IOLANDA – BOZZIA DON MARIO- BRACCHI GIACINTA – BRESCIA GAETANO- BRIZZOLARA VIVETTA – CURA’ A.M. – CARRA LUCIA – CANELLA M.ANTONIETTA – CONSIGLI M. GABRIELLA – CASSINARI PIERA – CERETELLI LARINI MARIA- CONTE A. – CONTESTABILE S, ELSA – CORDANI VALENTINA – CREMA EMILIA – CUNEO GIULIANA- CUPINI S. ASSUNTA – DARDANI ENRICA – DAZZI L. –DI STEFANO CARMELA – D’ERASMO LILIANA – DELMAESTRO M.GRAZIA – DELMAESTRO PAOLA – EMANUELLI M.LAURA – FERRARI M. PIA – FORNI EUGENIA – GALANTI LUCIA –GARDINI MARIA- GIORGINI LAERTI GIUSEPPINA – GIULIANI CARLA – GIULIANI MAGGI ANNAMARIA – GROPPI DON PAOLO – GUARNIERI CATERINA – GUAZZI RICARDINA – LUMINARI ANNA MARIA SUOR ROSA – MANFERDELLI O.- MARCHINI LUISA – MARCHINI PAOLA SABINI – MARTORANI INES – MAESTRI MARIA – MENTI FRANCA – METILDI ERASMINA SR.GIUSEPPINA – MUSSI BARUFFA MARIA – NEGRI GIOVANNA – NIGITO MARIA CLAUDIA – NIGITO ANNAMARIA – NUNZIATA ONORINA – OPPO SALVATORE – OEMI BIANCA – PALANI SUOR TERESA-PEDRINELLI A.M.- PETTAZZANI PARODI DIANA –PORELLI PAOLO – QUARANTELLI AUGUSTO – QUERZOLA MARIA – RAMPINI DON CESARE – SAGLIA NELLA – SEGHINI DON GIANCARLO- SOZZI AMERINA- SORS RUBINI ENRICA- SPAGGIANI CARLA – TAGLIAFERRI SILVANO- TAMBURINI MARIO- TEDESCHI ARPIANI LUCIA- TOMA GIUSEPPINA- VANELLI ORLANDINI PAOLA- ZANIVAN DON LUCIANO-

Forse rileggendo i nomi dei professori qualche ex alunna, ex ragazza, ex ex, può darsi che si emozioni e che sorrida per un momento ad un passato…remoto che fa parte della storia della sua vita in modo molto importante.

Forse anche la poesia che ho scritto , “ Le Gianelle”, così le educande chiamavano affettuosamente le suore Gianelline, richiama alla mente l’emozione di quel tempo.

Durente gli anni scolastici, l’istituto organizzava bellissime gite scolastiche: Roma, Pompei, l’Umbria, ecc. , gite che duravano diversi giorni. L’alloggio era sempre presso Istituti delle Suore e quindi a prezzi contenuti. Nelle foto pubblicate nella prima parte della storia ve ne sono alcune che riguardano una gita ai castelli Romani.

Una curiosità che mi piace ricordare è la divisa delle educande. Mentre in quasi tutti i collegi dell’epoca, erano divise di colori un po’ tristi, molto grigio e blu, le educande dell’istituto Gianelli sfoggiavano un’elegante divisa scozzese, in morbidissima lana con vivaci colori di tartan scozzesi

Che le suore acquistavano dai signori Delsante, in un rinomato negozio di tessuti che esiste ancor oggi in via nazionale a Borgotaro.

PRIMO ED UNICO RADUNO DEGLI EX ALLIEVI DELL’ISTITUTO GIANELLI DI BORGOTARO 2 LUGLIO 1989 ( In occasione del bicentenario della nascita del Santo Fondatore)

Non è stato facile radunare mezzo secolo di ex allievi, anche perché per molti di loro non esistevano tracce di iscrizione in determinate classi e corsi di studio, in quanto partecipanti a scuola di musica e di ricamo e pittura.

Gli inviti sono stati fatti per mezzo di televisione e giornali locali e un po’ di “passa parola”.

Così, siamo arrivati al mattino della festa senza sapere neppure approssimatamene quanti sarebbero stati i partecipanti alla festa..

Avevamo previsto di preparare le tavole nel parco dell’istituto, sotto i tigli fioriti. Il sabato sera era tutto pronto: mille volantini colorati attaccati agli alberi di via Libertà davano festosamente il benvenuto ad ex allievi ed ex insegnanti.

La domenica mattina, il cielo è tutto nuvolo e minaccia pioggia. Sono le sei e il pensiero corre ai tavoli preparati sotto i tigli. Ormai piove proprio. Bisogna correre ai ripari. Da questo momento ha inizio una frenetica scorribanda su e giù per le scale dell’Istituto, con in spalla seggiole e tavoli ed in men che non si dica, ecco tutto pronto e, questa volta, in palestra, grazie alle suore e a pochi volontari accorsi per risolvere l’emergenza, fra questi il mio ricordo riconoscente e affettuoso va a Carlo Galluzzi, il “Carlo di San Rocco”.

Senza rendercene conto sono già le 9,30 ed è ora di andare alla Chiesa per ricevere gli invitati ed assistere con loro alla Santa Messa.

Continua a piovere e l’aria è fresca. Gesù, sulla croce, è là ad attendere tutti, a braccia aperte. : Si vede dalla porta aperta della Chiesa, in mezzo ad una nuvola di fiori.

Incominciano i primi arrivi: tutte persone distinte, molte non più giovanissime che si sbirciano l’un l’altra, un po’ impacciate, un po’ in colpa per non riuscire a ravvisare subito il volto dell’amica con cui, un tempo, nel silenzio d’un’ aula di collegio si erano condivisi segreti più intimi ed importanti.

Il tempo ha lasciato sul viso di ognuno di noi , segni che hanno alterato la fisionomia, ma poi pian piano lo sguardo, il sorriso, ci portano indietro nel tempo e in un baleno le rughe scompaiono e ritroviamo fra gli ospiti quella che ci era più cara negli anni belli dell’adolescenza. Per molti di noi le suore di allora non ci sono più : suor Matilde Masera, fondatrice dell’istituto, suor Giuseppina del piano, come la chiamavamo noi , suor Maria del Rosario, e tante altre che il Signore a chiamato a sé per un meritato riposo, dopo una vita tanto laboriosa.

Il gruppo più numeroso di ex allieve è quello degli anni 47/57, fra cui ve ne sono molte che hanno frequentato nell’istituto dalla scuola materna al diploma magistrale e tutti si affollano festanti intorno alla allora Vicaria Madre Benigna, che tanto ha fatto per l’Istituto e nessuno potrà mai dimenticarla.

E’ ora della Santa Messa.

In Chiesa, vicino a San Rocco, a cui la Chiesa è dedicata, ci sono le effigi della madonna dell’Orto e di Sant’Antonio Maria Gianelli. La messa è concelebrata dal parroco don Giuseppe Calamari e da Mons Bertagna, ex allievo dell’istituto: La cerimonia è suggestiva perché le parole dei celebranti sono tutte improntate all’amicizia ed all’opera del Gianelli e delle Sue Figlie.

Tanta commozione e dolcezza nei presenti e la preghiera diventa più fervida per gli insegnanti e gli allievi che non ci sono più.

Molto significative le parole scritte da una ex insegnante di latino degli anni 45/50, impedita a partecipare da una grave indisposizione.

Carissimi

Rispondo alla Vostra lettera, dove a nome della madre delle Suore Gianelline, mi invitate a partecipare al primo raduno delle vecchie allieve. La vostra lettera mi è giunta in clinica dove ho subito un intervento operatorio

. Ora mi trovo a casa da pochi giorni e con grande rincrescimento non sono in condizioni di poter partecipare a questa nostra festa.

La vostra lettera e questa ricorrenza hanno schiarito nella memoria infiniti ricordi, i vostri volti tutti adolescenti rivedo , prima nel capannone del fotografo Petroncini, poi da Ostacchini, ed infine nel nuovo Istituto.

Non mi ricordo, e non mi posso giudicare come insegnante: so che lavoravamo gomito a gomito , occhi negli occhi e che mi premevate molto!

Vi rivedo tutti come eravate allora: attenti e pieni di buona volontà; e la vita poi vi ha dato ragione. Sarei stata veramente felice di passare questo giorno con voi, un premio che penso di essermi meritata. Porgete i miei ossequi alla madre ed alle Suore del Collegio. Un abbraccio a tutti Voi.

Rina Molinari Campanini

E’ giunta l’ora del pranzo. Miracolosamente (grazie a tanti buoni amici!) le tavole sono imbandite, in palestra, salumi, torte di erbe, riso, patate, prosciutto e melone, dolci, dolcetti e poi dulcis in fundo, il gelato della Maria del Gatto, con lo stesso carretto con cui lo distribuiva in collegio, tanti anni prima.

Nel corridoio per idea di suor Orietta, sono allestite due mostre: una di vecchie stupende foto e l’altra con tutti gli elenchi dei maturandi all’esame di abilitazione magistrale degli anni dal 1957/58 al 1973/74.

E’ stata una festa ben riuscita:ognuno è tornato a casa con animo sereno, con la voglia di rinsaldare antiche, dolci amicizie, con la consapevolezza del bene ricevuto in quell’istituto che unisce tutti gli ex allievi in un grande simbolico abbraccio, da quelli dei tempi di Ostacchini, a quelli del nuovo Istituto che sta a testimonianza di tutti i sacrifici, le fatiche, le amarezze di alcune famiglie sanrocchino, nei duri anni del primo dopoguerra, pèr impedire che burocrazia e incomprensione scacciassero dal paese le Suore Gianelline che hanno saputo ricolmare l’intera vallata di cultura e umanità secondo gli insegnamenti del loro Santo Fondatore.

Purtroppo oggi che scrivo, settembre 2007, le Suore non sono più nella nostra valle da diversi anni e gli imponenti edifici che accoglievano il loro Istituto, orgoglio del nostro rione, sono in un vergognoso stato di degrado che non fa certo onore a chi da anni amministra il nostro comune .

Il quartiere di San Rocco ha mutato, negli anni, il suo aspetto esteriore, molti angoli suggestivi sono scomparsi,inghiottiti dal cemento e dalla modernità, ma ne restano sempre tanti , pieni di quella suggetione che non abbandona i suoi abitanti. Piazzale Lauro Grossi, sede di uno sportello bancariom di un centro benessere, di un bar, di un caratteristico locale per tatuaggi, una volta era un podere con originali case rurali e tanti animali e una vigna e….. i signori Bernini, genitori del nostro poeta, pittore …. che lo gestivano. Lauro Grossi è stato un nostro valente concittadino per molti anni sindaco di Parma , ricordato per la sua intelligenza, versatilità, onestà. Mancato prematuramente nel 1989, ha lasciato in tutti noi un ricordo profondo ed indelebile. La poesia mette a confronto le due realtà. Patrizia

VECCHIO QUARTIERE

“SASSONIA” oggi PIAZZALE LAURO GROSSI

L’alto pioppo custodiva,

al bordo della via,

la casa di Pietro.

Maria, nella “mistà” vicina,

proteggeva la vigna,

i campi, i prati,e gli armenti,

e la famiglia.

I bianchi “trulli” con il tetto nero,

testimoni di storia e di costume,

di un barone straniero

che sposò una fanciulla

che Silvia aveva nome.

Il cemento ha inghiottito, in un momento,

le pietre antiche, i verdi pioppi,

la memoria di cose, care a noi

che ogni mattina, passando per la via,

ancora mormoriamo “ Ave Maria”

Un nome è rimasto a testimone

delle cose sparite nel cemento,

ed ispira nel cuore un sentimento

di grande indistruttibile lealtà;

che divenne bandiera di sua vita,

al piccolo paese e alla città

che egli governò con tanto amore.

Antica gloria evoca il suo nome!

e dentro noi rimane il suo ricordo.

Noi, che nel passar per quella via,

mormoriamo per lui, Ave Maria.

Maria Patrizia Tagliavini

“Ringrazio sentitamente il signor Pietro Chiodi che mi ha gentilmente concesso di utilizzare per la ricerca sulle origini del Quartiere San Rocco, le notizie contenute nel libro “STORIA DI BRATTO E BRAIA” scritto da ARMANDO CHIODI . Maria Patrizia Tagliavini.

Storia della Famiglia Necchi – Ghiri 1° Parte

Anticamente i Necchi – Ghiri, avevano solo la prima parte del cognome, in tempi remoti avvenne che un giovane di detta famiglia, riuscisse a fare innamorare di sé una bellissima, ricchissima e nobile fanciulla dal cognome Lusinghieri.

Ella fece notare al giovane che lo avrebbe sposato solo a condizione che il suo cognome fosse aggiunto al suo e di conseguenza venisse tramandato ai suoi discendenti. La nuova famiglia, pertanto, si chiamò Necchi – Lusinghieri. Il mutamento in Necchi – Ghiri, va ricercato in errori ortografici di trascrizione o perchè storicamente fosse solo Ghiri. Così diceva anche Dante Necchi Ghiri.

Il libro da cui ho tratto quanto scriverò qui a seguito, parla di tanti rami della famiglia. Io mi limiterò a scrivere di coloro che così intensamente e profondamente hanno contribuito alla nascita del nostro Quartiere .

NECCHI ANDREA DOMENICO, capostipite e valente dentista di Bratto, ebbe tanti figli.

– PIETRO : detto Pidin, definito, nel libro citato, “GRANDE BENEFATTORE” della sua terra

perché portò a Londra centinaia di connazionali, procurando loro lavoro ed alloggio.

– GIOVANNI

– ANDREA

– LUIGIA

– VIRGILIA

– ROSA

– TERESA

– MARIANGELA

L’altra famiglia che citerò è quella della moglie di Pidin, cioè la NECCHI GHIRI MARIA LUIGIA GIUDITTA, discendente da un altro ramo dei Necchi Ghiri, detti Cecaia, formato da:

– NECCHI GHIRI GIACOMO, che ebbe due figli: FRANCESCO e GIORGIO.

– NECCHI GHIRI GIORGIO ebbe questi figli:

– ANTONIO (Tugnen)

– ROSA (Santa)

– TERESA

– MARIANGELA (Nanoun)

– MAIETTA

– LUIGI

– MADDALENA

– ANDREA

– MARIA LUIGIA GIUDITTA , detta Giuditta, moglie di PIDIN

NECCHI PIETRO detto Pidin

Per scrivere la storia di Necchi Pietro, ci vorrebbe la penna di un romanziere provetto tanto è ricca di avvenimenti e tanto è grande la figura di questo personaggio, non per nobiltà di origini ma per grandezza di cuore, per intelligenza, estro e volontà.

Devo anticipare alcune notizie per comprendere come mai un personaggio nativo di Bratto , la cui vita riempie le pagine più importanti della storia di quel paese, venga a interessare il nostro quartiere.

Ebbene, il signor Pidin costruì , a sue spese, in muratura il BUFFET DELLA STAZIONE che originariamente era in una delle baracche dell’ing. Piatti, gestito dal signor Gaj, stalliere dell’ingegnere e lo gestìvano la moglie Giuditta ed i figli Rosa, Lazzaro e Domenico.

Costruì un edifico denominato il “Vaticano”, e quello adiacente al piazzale della stazione ferroviaria. In seguito il figlio Domenico costruì anche l’altro edificio sulla curva di via Pieve, ora in corso di restauro, per conto del padre.

Premesse queste notizie, proseguiamo con la storia della famiglia.

NECCHI PIETRO detto Pidin,nasce a Bratto del 1862, da Necchi Andrea Domenico .

Ebbe numerosi fratelli e sorelle cioè

– Giovanni

– Andrea

– Luigia

– Virgilia

– Rosa

– Teresa

– Maria Angela.

Ebbero quasi tutti vita avventurosa e laboriosa e diedero prova di grande ingegno ed intelligenza.

Apro volentieri una parentesi per parlare di Rosa, sorella del grande Pidin che se ne andò a Londra con il marito Carlo Corsini .

Suonò nelle piazze la pianola a manovella e con i guadagni comprò un caffè nel mercato della verdura, vicino a Piccadilly. Era donna interessante, intelligente e laboriosa. Comprò una bella casa a Borgotaro ed ebbe tre figli: Angiolina, John e Speranza.

Delle altre sorelle, Teresa sposò Luigi Morelli di Borgotaro (località Carlinetti Vighini).

Genitori di Giulio Morelli, ben conosciuto nel nostro Borgo perché fu per molti anni vice presidente del Consiglio di Amministrazione della Banca Cooperativa Valtarese.

Mariangela sposò Terroni Giuseppe (detto Juspin di san Lorenzo) ed ebbero tre figli: Pietro, Luigi e Giorgio. Mariangela era donna cortese ed ospitale, visse fino a tarda età a Borgotaro, dove possedeva una bella casa, in località Tarodine. Terroni Giuseppe, lavorò come montatore della torre Eiffel. I tre figli, Pietro, Luigi e Giorgio, furono ottimi commercianti a Londra.

Mi piace narrare un episodio che ha il sapore del miracolo nella vita di Terroni Giuseppe.

Quando l’ing. Eiffel stava costruendo la sua torre, invitò alcuni suoi operai, fra cui il nostro Terroni Giuseppe, a presentarsi per eseguire i lavori di montaggio. La sera prima, Giuseppe raccomandò alla moglie di svegliarlo per tempo perché non voleva assolutamente mancare al lavoro.

La moglie montò la sveglia che però al mattino non suonò. Così Giuseppe non potè arrivare in tempo. E meno male, perché nel salire sulla torre si era rotto il congegno e tutti gli operai giunti puntuali al lavoro erano morti.

Torniamo al protagonista della nostra storia: Necchi Pietro, detto Pidin

Nasce a Bratto nel 1862, come abbiamo già scritto, da una numerosa famiglia. La conseguenza è che ben presto emigra per trovare un posto di lavoro. All’età di circa 17 anni, va in Corsica. Certo non deve essere stata un’impresa di poco conto fare un simile viaggio a quei tempi!

Perché proprio in Corsica? A quei tempi i Brattesi, molto probabilmente, cercavano di raggiungere la maremma dove lavoravano nelle carbonaie e sentendo parlare della Corsica incominciarono a spingersi fin là.

Cosa facevano in Corsica? Si dice che a Bastelica, i primi castagni siano stati piantati proprio dai brattesi! Molti facevano i muratori e fra questi vi era anche il nostro Pidin, che ben presto fu un ottimo capomastro, tanto che gli venivano commissionati lavori importanti e questo suscitò spesso invidia.

Più avanti negli anni (primo novecento), alcuni facevano i formaggi per la ditta Roquefort, altri facevano l’Assenzio con le bustine che arrivavano da Puntachè, con il treno delle linee ferroviarie Bastia-Ghisonaccia.

Necchi Pietro ben presto divenne un importante impresario edile ma la sorte non gli fu benigna, infatti cadendo da un’impalcatura mentre riparava il campanile di una chiesa, si infortunò gravemente e da allora fu costretto a reggersi con un bastone. Pare che l’impalcatura fosse stata danneggiata a bella posta per farlo cadere. Lasciò la Corsica ( in un modo veramente avventuroso) e nel 1880 circa raggiunse l’Inghilterra.

Certo, per raggiungerla dovette inventare qualcosa per reperire i fondi necessari ed ecco che , giunto in qualche modo in Svizzera, si mise a far girare “trottole” e, con i denari racimolati arrivò a destinazione.

Essendo persona intelligente, intraprendente, versatile negli affari, non potendo più svolgere la sua attività a causa dell’infortunio occorsogli, mise a frutto la sua esperienza nel campo edilizio e incominciò a Londra, a rilevare stabili malconci ma in posizioni strategiche e a ristrutturarli . Chiamò dalla terra natia e povera, parenti ed amici e diede loro in gestione i locali rimessi a nuovo.

Pensate che egli diede lavoro ed alloggio e vitto a più di trecento compaesani e aprì a Londra ben 72 esercizi pubblici.

Non era certo facile fare espatriare i suoi amici. A quei tempi per andare a Londra i primi emigranti avevano bisogno di fogli di viaggio e di 5 sterline oro, ma Pidin pensava a tutto e nulla poteva fermarlo.

Il Presepe Vivente  nel Natale 1982

Nella magica notte in cui tutti si sentono più buoni ed il messaggio degli Angeli si fa sentire anche da chi, solitamente, per comodità di vita, ama fare orecchie da mercante, don Giuseppe, nel suo primo Natale in parrocchia a San Rocco, organizzò il Presepe vivente.

     Mentre sul piazzale della stazione ferroviaria i Centurioni romani a cavallo (gruppo AVAC), davano inizio alla sacra rappresentazione, da una strada laterale, scendeva da Grifola, sopra un docile asinello, Maria avvolta in uno scuro mantello, seguita a piedi da San Giuseppe.

     Le persone, assiepate lungo i lati di Viale Libertà, novelli, inconsapevoli pastori sussurravano, a volte, senza rendersene conto ………. Ave Maria.

     Lungo la strada, Maria e Giuseppe, chiedevano alloggio ai padroni delle case e agli osti delle osterie e s’intrecciavano in quella notte serena e fredda le note sequenze della poesia del Gozzano :”Oste del Cervo Bianco..”…..”Consolati Maria del tuo peregrinare , siam giunti ecco Betlemme ornata di trofei…”

     Davanti al palazzo Grossi, alcuni facevano il censimento e dalla stradina dele suore Gianelline, arrivava Giovanni il Battista che , vestito con pelli di animali, con voce possente ammoniva la gente, invitandola a cambiar vita, abbandonando i peggiori mali di oggi : la droga, il malcostume, l’egoismo e la falsità.

     Ormai siamo vicini alla Chiesa : la luna, alta nel cielo, rischiara quella lunga processione che in un incredibile silenzio, rotto solo dalle grida del Battista, sta entrando nel piazzale della Chiesa.

     E’ quasi mezzanotte e sul punto più alto della facciata, si accende come per incanto una stella luminosae dai campi vicini arrivano tanti pastori con agnelli e pecore e capre; entriamo tutti in chiesa.

     E’ un momento suggestivo, di quelli che arrivano e ti riempiono di una dolcezza così pura, semplice, che riporta all’infanzia, quando il cuore e la mente ancora non conoscono l’ingratitudine, l’invidia , il rancore, quando la fiducia nei genitori è senza limiti perchè capaci di proteggerti da qualunque male. Ed ora, provati dalla vita, bloccati dalla sfiducia, a volte non riusciamo più a credere che vicino a noi c’è un Padre veramente grande e onnipotente che ci protegge, la cui comprensione e pietà non hanno limiti: l’eterno onnipotente Dio che noi chiamiamo Padre.

     Risuonano chiare le parole di don Giuseppe sull’altare ” .. e noi con la certezza di essere tutti fratelli eleviamo la preghiera a Colui che è nostro Padre….Padre Nostro…..”.

     Gesù per nascere “ha bisogno di un posto nel nostro cuore ” e con questa frase ci ha insegnato che amore non è una parola difficile: basta dividere con il fratello il dolore, facendocene carico, e dividere la gioia donandola.

Maria Patrizia Tagliavini


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